Qualche giorno fa, durante una sessione di coach training con un bel gruppo di agile coach, è emersa un'interessante discussione sulla possibilità di riuscire a individuare l'approccio di coaching più funzionale ad un determinato problema (nello specifico, eravamo impegnati nell'identificazione e nella gestione di alcune situazioni complesse in ambito team coaching).
La richiesta emersa inizialmente (Qual è l'approccio migliore in questa situazione?) nasce dalla pressione costante che sperimentiamo in ambito aziendale: voler costantemente identificare una soluzione come 'la' soluzione; per identificare una procedura, una sequenza, una domanda specifica che sia in grado di risolvere quella specifica situazione, risparmiando tempo.
Si tratta di una richiesta assolutamente legittima, anche se probabilmente infondata.
Per un approfondimento, possiamo fare riferimento al framework “Cynefin”, un framework creato nel 1999 da Dave Snowden per comprendere come il tipo di risposta a un ambiente specifico debba in qualche modo rispettare le caratteristiche tipiche di quell'ambiente specifico. (Disclaimer: tratterò il framework in modo estremamente semplificato... i più esperti mi perdoneranno!
).
Gli ambienti o meglio 'domini' che il framework segnala sono cinque e sono suddivisi in due spazi principali:
Il sistemi 'ordinati', cioè quei sistemi (semplici e complicati) in cui causa ed effetto dei fenomeni sono noti o almeno possono essere definiti.
I sistemi 'non ordinati', cioè quei sistemi (complessi e caotici) in cui causa ed effetto possono essere dedotti solo dopo che sono stati scoperti o non ci sono affatto.
I sistemi 'disordinati', cioè quei sistemi in cui non c'è chiarezza.
Definire questi diversi ambienti è utile perché a queste definizioni è legata la possibilità di definire soluzioni. Ecco cosa succede:
Un problema che rientra nel dominio dei sistemi ordinati può essere risolto in due modi: tramite 'best practice' per gli ambienti semplici (cioè quelli in cui per ogni singolo problema esiste una risposta, basta identificare il problema), oppure tramite 'best practice' per gli ambienti complicati (cioè quelli in cui per ogni problema esistono più soluzioni ugualmente valide; per identificare quella giusta bisogna confrontare i 'sintomi', magari consultando un esperto, e applicare la soluzione giusta). Un esempio del primo tipo potrebbe essere: il mio orologio a carica manuale si è fermato, dovrò girare la corona di lato per farlo ripartire; un esempio del secondo tipo potrebbe essere: la mia macchina non si avvia, e per riavviarla il mio meccanico dovrà fare una serie di test per scoprire se si tratta di una batteria scarica o di un cavo allentato…
Un problema che rientra nel dominio dei sistemi non ordinati può essere risolto in due modi: nel caso di un problema complesso, è richiesta una 'pratica emergente', ovvero attraverso un ascolto aperto, paziente e non giudicante è necessario acquisire le informazioni per poter iniziare a sperimentare i primi passi verso una possibile soluzione e attraverso un feedback successivo acquisire nuove conoscenze per determinare i passi successivi. Quando ci si trova di fronte a un problema che rientra nel dominio del caos, non esiste un nesso causa-effetto, quindi è necessario scomporre la situazione, stabilire delle priorità e cercare di trattare ogni singola parte come se fosse un sistema complesso. Questo è il momento della "pratica innovativa".
Quale tipo di supporto sarebbe allora utile nei diversi domini?
Nel dominio del "semplice" potrebbe bastare una raccolta di FAQ: un elenco di problemi ricorrenti per i quali esiste già una soluzione specifica; rapida, efficace ed efficiente.
Nel dominio del "complicato" il manuale non basta più... probabilmente serve un esperto, un consulente ad esempio, che sappia mettere insieme i "sintomi" per definire la risposta più appropriata. Il processo è meno rapido ma ugualmente efficiente ed efficace (…a seconda di quanto è esperto l'esperto…).
Nel dominio del 'complesso', d'altro canto, la figura dell'esperto può essere rischiosa nella misura in cui, data la sua vasta esperienza, può 'non vedere' aspetti che possono essere rilevanti ma non noti a priori. Le competenze da ricercare sono quindi l'ascolto non giudicante, la pazienza, la capacità di 'mettersi nella situazione' ma di rimanerne emotivamente distaccati, la fiducia nelle possibilità di trovare una soluzione sperimentando, e anche la capacità di supportare lo sforzo che il cliente sta facendo… Vi ricorda qualcuno? (suggerimento... potrebbe essere un allenatore).
Per affrontare il dominio del 'caotico' sembra invece importante avere una figura che sia in grado di risolvere rapidamente ciò che ha urgente bisogno di essere affrontato e di agire con rapidità trovando una soluzione che sia 'abbastanza buona', piuttosto che la soluzione perfetta... L'idea che viene in mente sembra essere quella di un chirurgo d'urgenza piuttosto che di un pilota di linea che si occupa di una situazione di emergenza (si ricordi ad esempio l'ammaraggio nel fiume Hudson del volo US Airways 1549 del capitano Chesley 'Sully' Sullenberger).
Conclusione
Cosa emerge da questa conversazione? Il miglior campo di applicazione del coaching sembra essere nelle situazioni complesse, proprio per la necessità di alcune soft skill che potrebbero dare il meglio di sé lì…
E in altri casi?
Beh, probabilmente sembra inutile (e costoso…) rivolgersi a un coach se la risposta è in una FAQ; altrettanto inutile sarebbe rivolgersi a un coach se è già presente un counselor: quest'ultimo saprà facilmente porre le domande giuste senza ulteriore supporto esterno.
E cosa succede in caso di 'caos'? Il lavoro di un coach può essere utile accanto a chi sta gestendo un'emergenza? Probabilmente sì, sia durante la gestione "dopo" l'emergenza, per fissare gli insegnamenti, sia durante l'emergenza stessa per prendere decisioni... a meno che non si stia cercando di salvare una persona in ambulanza o di ammarare in un fiume con un aereo di linea!
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